Le difficoltà che da sempre assillano dottrina e giurisprudenza, impegnate nell’elaborare criteri idonei a definire i contorni tra dolo eventuale e colpa cosciente in tema di contagio da HIV, si sono da qualche anno riproposti in sede di definizione del regime penale cui assoggettare il soggetto che, consapevolmente affetto dal virus dell’Aids, intrattenga rapporti sessuali non protetti con un partner sano.
Il soggetto che, pur conoscendo i rischi di contagio, intrattiene rapporti sessuali ha volontà dolosa, oppure tiene una condotta colposa, sebbene aggravata dalla previsione dell’evento?
Nell’esaminare il tema si sono alternate diverse teorie che cercheremo di riassumere brevemente.
Per la teoria della probabilità, il dolo eventuale sussiste per il solo fatto che l’agente si rappresenta l’evento come conseguenza probabile della sua condotta, senza che sia necessario il riscontro di alcun coefficiente volontaristico. All’opposto si versa nell’ambito della colpa cosciente allorchè il soggetto attivo consideri l’evento soltanto possibile.
Per la teoria della possibilità, la punibilità a titolo di dolo eventuale presuppone la sola rappresentazione della possibile verificazione dell’evaso. In particolare la versione più evoluta e raffinata di tale orientamento fa leva sul tipo di conoscenza posseduta dal soggetto attivo, distinguendo tra la consapevolezza della “concreta” pericolosità della propria condotta rispetto alla lesione del bene giuridico e consapevolezza della pericolosità “astratta” della medesima.
Per la teoria della operosa volontà di evitare, il dolo eventuale va escluso all’orchè l’agente abbia approntato misure astrattamente idonee ad evitare il pericolo di prodursi dell’evento lesivo.
Infine, le teorie dell’indifferenza o dell’approvazione che pongono l’accento
sull’atteggiamento interiore rispetto all’evento. La distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente viene così affidata a schemi di tipo “emotivo”: versa in dolo eventuale chi si sia posto in una posizione di approvazione o di mera indifferenza rispetto all’evento, mentre in colpa con previsione chi, pur prevedendo l’evento, non ne desideri la verificazione e speri che non si verifichi.
La tesi oggi prevalente in giurisprudenza è senza dubbio quella dell’accettazione del rischio, secondo cui il limite del dolo eventuale è costituito dalla certezza del non verificarsi degli eventi possibili rappresentati, sicchè risponde a titolo di dolo l’agente che, pur non avendo di mira l’evento, accetta il rischio che esso si verifichi, come risultato della sua condotta, comportandosi anche a costo di determinarlo. Risponde, viceversa, a titolo di colpa aggravata l’agente che, pur rappresentandosi l’evento come possibile risultato della sua condotta, agisce nella convinzione che esso non si verificherà.
A sostegno del criterio dell’accettazione del rischio, si richiama la teoria che si basa sulla formula di Frank, secondo cui si ha dolo eventuale quando il soggetto avrebbe agito anche se avesse avuto la certezza del verificarsi dell’evento, mentre si ha colpa con previsione se tale certezza avrebbe trattenuto l’agente. In altri termini, nel dolo eventuale il soggetto agisce costi quel che costi, quindi anche a costo di cagionare l’evento, dando incondizionata prevalenza al fine che si è prefissato. A tal fine la formula di Frank richiede una valutazione, ex ante, circa l’impatto che la verificazione dell’evento avrebbe avuto sul piano di azione, onde stabilire se questa abbia rappresentato o meno un costo che era disposto a tollerare.
In tal senso la Cassazione Penale, sezione I, 15 marzo 2011, n. 10411, secondo cui <<nel dolo eventuale il rischio deve essere accettato a seguito di una deliberazione con la quale l’agente subordina consapevolmente un determinato bene ad un altro>>.
Nota è la vicenda conclusasi nel 2001 con la sentenza n. 30425, Cass. Pen. sez. I del 3 agosto. Nel caso di specie, un soggetto era imputato di aver cagionato la morte della moglie per AIDS trasmessole a seguito di ripetuti rapporti senza protezione nonostante avesse la consapevolezza di essere sieropositivo e fosse edotto circa i modi di trasmissione del virus.
In primo grado l’imputato era stato condannato per omicidio volontario, avendo il giudice ravvisato la sussistenza del dolo eventuale, valorizzando la reiterazione dei rapporti sessuali e, soprattutto, la mancanza di adozione di misure precauzionali durante gli stessi. Non sono considerate rilevanti le circostanze addotte dall’imputato per giustificare la sua convinzione che nulla sarebbe accaduto alla moglie, nè la circostanza di sentirsi bene. Il giudice, viceversa, conclude che proprio l’elevato livello informativo accertato in capo all’imputato in merito alla propria condizione ed ai rischi commessi, sia sufficiente a considerare provato l’elemento del dolo eventuale.
In appello, invece, il fatto è stato considerato nei termini di omicidio colposo aggravato dalla previsione dell’evento. I giudici di secondo grado avevano ravvisato nell’atteggiamento dell’imputato un vero e proprio fenomeno di rimozione e di reiezione psicologica dell’eventualità del contagio e della conseguente possibilità di decesso della consorte. E’ stato, inoltre, valorizzato il fatto che l’imputato, negli anni, non aveva subito un peggioramento delle proprie condizioni di salute. Due i punti salienti:
1) si contesta la presunta completezza del quadro rappresentativo presente nella mens rei basata sulla sua cultura, sulla precocità della diagnosi e sulla scarsa chiarezza delle compagne anti-Aids;
2) si punta l’indice contro l’assiomatica equazione dedotta in primo grado tra rappresentazione del rischio e correlativa volontà di esso.
La Suprema Corte ritiene corretta la qualificazione giuridica attribuito al caso di specie dalla corte territoriale, osservando tra l’altro che l’agente aveva sempre agito confidando nel fatto che il contagio non si sarebbe verificato, escludendo danni per la salute della moglie.
La conclusione a cui è giunta la Corte, ha lasciato non poche perplessità dato che pare difficile dubitare che il caso concreto avrebbe potuto essere qualificato quale omicidio doloso. Il reo era, infatti, consapevole di essere sieropositivo ed era stato reso edotto dei modi di trasmissione del virus dai medici consultati. Si era, pertanto, rappresentato l’evento morte come possibile. La soluzione adottata pare costituire applicazione delle teorie emozionali.
Sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione, con sentenza n. 44712/2008 secondo cui <<risponde a titolo di dolo eventuale il soggetto sieropositivo che abbia ripetuti rapporti sessuali non protetti con il proprio partner quando risulti che fosse perfettamente a conoscenza del male dal quale era affetto e consapevole della concreta possibilità di trasmettere il male al proprio compagno>>. In tal modo la Corte richiama le teorie che maggiormente pongono l’accento sul concetto della prevedibilità dell’evento e, dicono, è necessario procedere ad una analisi approfondita della condotta dell’agente essendo necessario verificare, nell’ipotesi del dolo eventuale, l’esistenza nell’agente di un atteggiamento psicologico che riconduca l’evento nella sfera di volizione. Nel caso concreto, infatti, la donna era perfettamente a conoscenza di essere affetta da HIV e della possibilità di infettare il compagno e, nonostante questo, ha agito accettando il rischio del verificarsi dell’evento che alla fine si è concretizzato.