La Corte Suprema di Cassazione, Quinta Sezione Penale, con l’ordinanza n. 420/2025, ha rimesso alle Sezioni Unite la questione cruciale dell’impugnabilità dei provvedimenti di rigetto della richiesta di accesso ai programmi di giustizia riparativa.
Secondo la definizione presente nel decreto legislativo n. 150/2022, la giustizia riparativa è “ogni programma che consente alla vittima, alla persona indicata come autore dell’offesa, e ad altri soggetti della comunità di partecipare liberamente, in modo consensuale, attivo e volontario, alla risoluzione delle questioni derivanti dal reato, con l’aiuto di un terzo imparziale, adeguatamente formato, denominato mediatore”.
In sostanza, la giustizia riparativa cerca di facilitare un incontro tra vittima e autore del reato, con l’assistenza di un mediatore, per affrontare le conseguenze del crimine e trovare un modo per riparare il danno causato.
Il Caso
Il caso trae origine da un procedimento penale per il delitto di atti persecutori, in cui la Corte d’Appello di Roma ha confermato la condanna dell’imputato. Il difensore dell’imputato aveva richiesto l’invio dell’imputato e della persona offesa a un centro di giustizia riparativa, richiesta che era stata rigettata dalla Corte d’Appello.
Il Contrasto Giurisprudenziale
L’ordinanza della Cassazione evidenzia un contrasto interpretativo sull’impugnabilità dei provvedimenti di rigetto delle richieste di accesso alla giustizia riparativa.
- Un primo orientamento nega l’impugnabilità, ritenendo che tali provvedimenti non abbiano natura giurisdizionale e che il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione osti alla possibilità di estendere il regime di impugnabilità previsto per altri provvedimenti.
- Un secondo orientamento, invece, ammette l’impugnabilità congiuntamente alla sentenza, ma solo nel caso in cui la richiesta sia stata avanzata dall’imputato e riguardi reati procedibili a querela suscettibile di remissione, ovvero nei casi in cui l’accoglimento della richiesta determina la sospensione del processo.
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