Riparazione ingiusta detenzione


Sono molteplici i casi di cronaca di persone incolpate di reati gravi, sottoposte ad una misura custodiale in carcere durante le indagini, e magari anche durante il processo, e successivamente prosciolte in esito all’accertamento del merito della vicenda che li ha visti coinvolti.
Si tratta di episodi molto meno rari di quello che si è portati a pensare poiché, molto spesso, non vengono menzonati dai media.
Infatti, stiamo parlando anche di periodi di detenzione non particolarmente lunghi (qualche settimana) e che possono riguardare anche soggetti già in passato (legittimamente) detenuti e, comunque ai quali il grande pubblico non è interessato.
La privazione della libertà è una lesione profondissima dei diritti fondamentali della persona che provoca un danno e delle sofferenze distinti dall’essere al centro – seppur da innocenti – di una vicenda giudiziaria.
Anzi, la soppressione della libertà personale è un quid pluris afflittivo che si somma alla dolorosa esperienza di essere accusato di un reato sapendosi innocente. Anche dal punto di vista civilistico il nostro ordinamento tiene separate le due eventualità (ingiusta detenzione ed errore giudiziario).
Infatti, nel caso di errore giudiziario (sentenza di assoluzione in sede di revisione dopo una sentenza di condanna passata in giudicato) il risarcimento sarà integrale ed illimitato; nel caso di ingiusta detenzione l’ordinamento prevede un tetto massimo dell’indennizzo pari ad € 516.456,89.
Tale somma sarà comprensiva sia di quanto patito moralmente dal detenuto sia del suo c.d. “lucro cessante” ovvero il mancato guadagno a seguito della detenzione (ad esempio per la perdita del lavoro) sia delle eventuali spese vive e documentate.
Naturalmente, le due voci di danno sono cumulabili.

Il nostro ordinamento all’art. 314 c.p.p (riparazione per ingiusta detenzione – presupposti e modalità della decisione) prevede una precisa e specifica disciplina per la quale lo Stato si fa carico dell’illegittimità della privazione della libertà patita da un cittadino riconoscendo un indennizzo a colui che è stato ingiustamente detenuto.
Il primo comma dell’articolo in parola recita: chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché:
– il fatto non sussiste,
– per non aver commesso il fatto,
– perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato,
ha diritto ad un’equa riparazione per la custodia cautelare subita qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave.
Elemento cardine del riconoscimento dell’indennizzo non è solo l’avvenuta detenzione, ma anche e soprattutto il concetto di dolo e colpa grave riferiti alla condotta di colui che lamenta un danno a seguito della privazione della libertà personale.

Se il dolo pare essere un’ipotesi quasi di scuola (si tratterebbe, infatti, di una condotta dell’interessato preordinata e finalizzata a far cadere in errore il Giudice nell’applicazione in suo danno di una misura cautelare restrittiva della libertà personale….), il concetto di colpa grave risulta praticamente sempre essere il terreno sul quale si discute in sede giudiziaria circa la meritevolezza o meno dell’istante dell’indennizzo.

Colpa grave che verrà indagata per concedere o meno l’indennizzo per l’ingiusta detenzione:
– sia in riferimento agli elementi di fatto dai quali era possibile dedurre (erroneamente) la verificazione del reato in capo all’accusato;
– sia in riferimento alla condotta difensiva adottata dall’accusato successivamente alla contestazione delle accuse.

Quali sono i profili di colpa grave che possono essere rimproverati all’accusato ed in esito ai quali egli stesso ha cagionato la sua detenzione (seguita, evidentemente, da una assoluzione)?
Non è facile dare una risposta chiara a questa domanda, poiché sono diversi i fattori da valutare e solo analizzando caso per caso sarà possibile dare risposta al singolo assistito.

Pertanto, solo valutando di volta in volta ed in concreto la condotta dell’accusato (alla luce della quale un Giudice ha creduto che lo stesso dovesse essere sottoposto alla custodia cautelare) nonché le scelte difensive dello stesso (evidentemente tali da non impedire la misura cautelare ma superate dalla decisione del Giudice del merito) sarà possibile valutare sussistente o meno la colpa grave di colui che chiede l’indennizzo per la detenzione subita illegittimamente.

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