Con la Sentenza n. 39331 del 22 settembre 2016, la Corte di Cassazione ribadisce come il reato di maltrattamenti in famiglia si configuri anche a seguito della cessazione della convivenza e in presenza della separazione, qualora l’attività persecutoria si concretizzi in ambito familiare. <<Il vincolo coniugale>> precisa la Cassazione <<non viene meno con la separazione legale, ma si attenua soltanto, posto che rimangono integri i doveri di reciproco rispetto, di assistenza morale e materiale, nonché di collaborazione tra coniugi. Ne discende che laddove la condotta criminosa incida sui rapporti familiari, la separazione non esclude il reato di cui all’art. 572 c.p>>.
L’imputato, già condannato dalla Corte di Appello di Bologna, ricorreva in Cassazione ma la Corte di legittimità ha rigettato integralmente il ricorso, dichiarandolo l’infondatezza della censura mossa dal ricorrente in ordine alla impossibilità di configurare il reato di maltrattamenti in famiglia in caso di cessazione della convivenza e di intervenuta separazione personale.
Sul punto, unanime è l’orientamento della giurisprudenza nell’affermare che <<il reato di maltrattamenti in famiglia sussiste anche in danno di una persona non più convivente con l’agente, laddove quest’ultimo e la persona offesa siano legati da rapporti di coniugio o dalla filiazione>>. La convivenza, quini, non rappresenta un presupposto della fattispecie delittuosa, in quanto il reato di cui all’art. 572 c.p. ben può essere integrato a seguito della separazione tra i coniugi.
Inoltre, merita un approfondimento la questione, inerente il rapporto tra l’art. 572 c.p. e il reato di atti persecutori di cui all’art. 612-bis c.p.
Con l’introduzione dell’aggravante dell’art. 612-bis c.p., che prevede una pena aumentata qualora il fatto sia commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia o sia stata legata da una relazione affettiva alla persona offesa, si potrebbe generare un concorso apparente di norme con il reato di cui all’art. 572 c.p.. Detto conflitto si risolve con l’applicazione del principio di specialità espressamente richiamato dalla clausola di sussidiarietà contenuta nell’incipit dell’art. 612-bis c.p., che conduce all’applicazione del reato più grave (nel caso di specie, il reato di maltrattamenti in famiglia in quanto è punito dai due ai sei anni).
Integreranno, invece, il reato di cui all’art. 612-bis c.p. tutte quelle condotte criminose che esulano dalla fattispecie di maltrattamenti in famiglia per la sopravvenuta definitiva cessazione della relazione familiare o affettiva, nonostante siano sorte nell’ambito della comunità familiare.
Laddove, quindi, la convivenza sia cessata da molto tempo ed in modo irreversibile, potrà configurarsi il delitto di atti persecutori nella sua forma aggravata. Al contrario, invece, qualora l’attività persecutoria incida sui vincoli familiari e in essi trovi il proprio fondamento, sebbene la convivenza sia venuta meno, il fatto penalmente rilevante rientrerà nell’ambito applicativo dell’art. 572 c.p.